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NOTE

93 Giacomo Bascapè-Carlo Perogalli Palazzi privati di Lombardia edizioni Electa, Milano 1964, p. 15
94 Carlo Capra Milano al tempo di Giuseppe Parini in La Milano del Giovin Signore a cura di Fernando Mazzocca e Alessandro Morandotti, edizioni Skira, Milano 1999 pp. 25-33
95 Carlo Capra ibidem
96 Carlo Capra ibidem
97 Si trattò fino al 1776 del Teatro Ducale e dal 1778 del nuovo Teatro alla Scala
98 Giacomo Bascapè-Carlo Perogalli Palazzi privati di... p. 30

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Il palazzo
Il termine «palazzo», nel significato di grande casa privata, «appare forse per la prima volta in Lombardia in una cronaca della peste del 1373»
93: in precedenza aveva designato la sede del re o dei signori della città, o le dimore del vescovo.
Molte antiche dimore, ancora ai giorni nostri, conservano il nome del primo proprietario, come nel caso di Palazzo Mazenta. Altre invece, col volgere dei secoli, mutarono denominazione e ritennero quella dell’ultimo casato che ne fu proprietario, come accadde al nostro palazzo che non appartenne dall’inizio ai nobili Majnoni ma che a un certo punto nell’Ottocento assunse questa denominazione e ancora la conserva, almeno nelle guide di Milano e nei trattati di storia dell’arte.
Il primo piano del palazzo costituisce il «piano nobile», ove d’inverno è situato l’appartamento padronale, che frequentemente si affaccia sulla strada. D’estate invece la famiglia nobile si trasferisce negli appartamenti siti al pianterreno, più freschi essendo adiacenti al giardino e al riparo dal sole.
Il secondo piano è riservato all’alloggio di ospiti e parenti.
All’ammezzato, o all’ultimo piano, si trovano le abitazioni del personale, i locali degli uffici come anche l’archivio del casato.
Le scuderie per i cavalli e le rimesse per le carrozze, gli alloggi di cocchieri e palafrenieri, si aprono sul cortile secondario.

Attività economiche
Verso la metà del secolo XVIII, a Milano le attività economiche sono «frazionate in un gran numero di laboratori artigianali e di piccoli esercizi, per un totale di oltre quattromila botteghe. Anche le poche grandi imprese sovvenzionate e protette nel tardo Settecento dal governo asburgico… continuano a servirsi in larga misura di lavoro a domicilio»
94. Ma il problema è che la sopravvivenza in termini lavorativi dei circa quarantamila individui impegnati in lavori di ogni genere, ruota in realtà, nel secolo XVIII, «intorno alla capacità di spesa di un numero ridotto di famiglie ricche o benestanti, forse duemila o poco più, che traggono le loro entrate dalla proprietà fondiaria e in minor misura dall’ esercizio delle professioni, dagli impieghi pubblici di grado più elevato, dai più pingui benefici ecclesiastici, mentre si contano a poche decine gli imprenditori, i banchieri e i commercianti che possono gareggiare in ricchezze con costoro»95, acquirenti di prodotti di lusso e utilizzatori dei servizi forniti dai domestici, i quali rappresentano una parte notevole della popolazione complessiva. Ai sussidi dei numerosi enti assistenziali ricorrono, oltre ai mendicanti abituali, anche le famiglie che per disparati motivi, per esempio morte, malattia, disoccupazione del marito e padre, oppure numero eccessivo di figli, non riescono a sopravvivere con i propri mezzi. I membri del ceto nobile, a partire dal 1769, sono registrati «con i loro blasoni in una sorta di libro d’oro»96. Appannaggio di tale ceto è per lo più il possesso di carrozze o di palchi a teatro97.